domenica 26 maggio 2013

PER ESSERE FELICI BISOGNA AGIRE


Lien Pham, studioso della University of California, ritiene che per raggiungere la felicità non sia sufficiente sognarla. Per dimostrarlo ha chiesto a un gruppo di studenti di immaginare per qualche minuto di aver preso voti molto alti ad un esame. Ma alla fine del test i ragazzi hanno studiato molto meno e ottenuto voti bassi. E' arrivato a una conclusione simile ancheGabriele Oettingen della New York University che ha chiesto invece ai suoi alunni di prendere appunti su un sogno ricorrente: quello di trovare un ottimo lavoro una volta laureati. Qui i ricercatori hanno scoperto che i ragazzi più inclini a immaginare una vita lavorativa 'perfetta', finiscono con più facilità nel gruppo di persone disoccupate o con salario basso. Sembra quasi che immaginare la perfezione e sognare a occhi aperti, tolga energie nel raggiungimento dei propri obiettivi. 

Gran parte dei teorici della felicità spiegano quanto sia importante cambiare vita. Spiegano che chi è  scontento e insoddisfatto, deve cercare novità. Non bisogna credere che a decidere sia solo il destino e arrendersi. Molti esperti sono convinti che tutto si basi sulle emozioni e sulla forza di volontà. Uno dei primi a dare vita a questa teoria fu, a fine ‘800, lo scienziato William James, fratello dello scrittore Henry James. Fu lui uno dei primi ricercatori a stabilire che il comportamento influisce su determinate emozioni, spiegando che, ad esempio, sorridere in modo forzato porta a spensieratezza e felicità. La tesi fu ripresa molto dopo, negli anni ’70 dallo psicologo James Laird che fece ulteriori test per dimostrare come  sia più facile avere sentimenti positivi se ci si esercita a sorridere e a ridere in modo forzato. Insomma più che nel pensiero la formula magica si nasconde nell’azione, in questo caso quella di muovere i muscoli del viso fino a sorridere.

Poggia sul rapporto fra azione e pensiero anche una ricerca della National University di Singapore. Gli studiosi hanno chiesto a un gruppo di persone di entrare in una pasticceria, ma evitando di mangiare dolci. I partecipanti ai quali era stato chiesto di tenere il pugno chiuso e dunque ad agire, sono riusciti a evitare tentazioni, mentre gli altri si sono fatti catturare dalle leccornie. Un test simile è stato fatto anche da Dana Carney, docente alla Columbia Business School. In questo caso i protagonisti della sperimentazione hanno simulato una normale attività d’ufficio. Nel gruppo c’era chi ha assunto posizioni di potere, con conseguenti atteggiamenti, mentre altri hanno svolto funzioni che non sono associate a un ruolo di dirigenza. Calcolando i livelli di testosterone dei partecipanti, i ricercatori hanno stabilito che chi è al potere  sviluppa fiducia in se stesso e ha una maggiore spinta nel raggiungere un obiettivo importante.

Queste teorie rivelano che non bisogna sognare le cose, ma servono energie per raggiungere risultati positivi. Agire molto e pensare meno. Come diceva Bernard Shaw: "Il segreto di essere infelici è di avere tempo di chiedersi continuamente se si è felici o no". Inutile abbandonarsi al pensiero, bisogna fare tante cose. Sullo stesso filone vanno segnalati anche gli studi della psichiatra di Harvard, Ellen Langer, alla fine degli anni ’70. La studiosa chiese a un gruppo di uomini di cambiare vita, immaginando di essere più giovani di 20 anni e di vivere negli anni ‘50. La Langer dimostrò che dopo pochi giorni i partecipanti si sentivano più forti, completamente sicuri delle proprie azioni e camminavano più in fretta. Il giornale The Guardian conclude che decenni di studi hanno dimostrato che la teoria di William James può essere applicata a molti aspetti della vita quotidiana. Sarebbe una buona ricetta per evitare stress e preoccupazioni, agirebbe inoltre come stimolo per l'innamoramento. Raggiungere concretamente gli obiettivi desiderati è anche un modo per essere fiduciosi, sicuri di se e più felici. La ricetta della felicità sta dunque nell’azione e nel cambiamento. Forse vale la pena di seguire i consigli di esperti e psichiatri. Se non siete contenti di come vanno le cose della vostra vita, fate una piccola rivoluzione. Osate. Ma ricordate che non è tempo di pensare, ma di agire.


MAGGIOR RISCHIO DEPRESSIONE PER CHI NASCE NEI MESI INVERNALI

Secondo uno studio su 870 ragazzi e 653 ragazze con età compresa fra 10 e 17 anni pubblicato su Psychiatry Research dall’Università di Bologna avete un maggior rischio di depressione legato alla fotoperiodicità luminosa particolarmente corta della stagione invernale in cui siete nati. Come scriveva il grande poeta Shelley «Bright reason will mock thee, like the sun from a wintry sky», la luce della ragione si farà gioco di te come il sole da un cielo invernale.
SCIENZA E ASTROLOGIA - L’effetto sulla psiche, verificato attraverso i punteggi riportati al GSS (acronimo di Gobal Seasonality Score, cioè scala di stagionalità globale) sembra mantenersi, soprattutto nelle ragazze, per tutta l’infanzia e l’adolescenza impartendo una spiegazione scientifica a tante indicazioni astrologiche che hanno sempre attribuito a questi segni una spiccata sensibilità agli eventi della vita. Se questo dato sarà confermato, potrebbe portare a una maggiore attenzione verso la malattia dell’anima dei nativi di questi segni zodiacali in termini di prevenzione.
GLI STUDI - Da alcuni anni gli psicologi dell’Università di Bologna, in collaborazione con colleghi di altri atenei italiani e stranieri, stanno studiando la correlazione fra data di nascita e sviluppo di depressione, prima in via retrospettiva negli adulti e adesso anche i maniera prospettica nei giovani. Nel 2007 uno studio analogo pubblicato su Affective Disorders aveva fornito risultati simili su 1709 ragazzi fra 10 e 25 anni. Lo strumento utilizzato per valutare il rischio di depresione legato al segno zodiacale è il cosiddetto SPAQ-CA, acronimo di Seasonal Pattern Assessment Questionnaire for Children and Adolescents, cioè questionario di valutazione dell’influenza stagionale per bambini e adolescenti. E’ derivato dalla sua versione originale (SPAQ) messa a punto per gli adulti dal gruppo dell’Università del Maryland di Baltimora diretto da Norman Rosenthal, padre della depressione stagionale (nota con la sigla SAD) e del suo trattamento tramite light therapy (terapia con bagni di luce). La SPAQ è composta da 6 blocchi, ognuno con varie sottodomande, da un minmo di 2 a un massimo di 10, mentre la SPAQ-CA (CA sta per children e adolescent, cioè bambini e adolescenti) è più semplice con solo 3 blocchi e meno domande:
1) segnare con un cerchietto la x del mese o dei mesi in cui si hanno energie al minimo, si è più irritabili o ci si sente peggio.
2) qualche attività come sonno, umore, peso, attività sociale cambia in base al mese?
3) provi delle variazioni nell’arco delle stagioni? Pensi che ciò sia per te un problema minimo, sopportabile o grave?
I CASI - Chiunque può fare questo test per avere un’indicazione generale sugli aspetti che più contano per questo tipo di valutazione, ma l’interpretazione dei risultati è affidata agli psicologi che, analizzando migliaia di risposte, hanno definito, ancor prima che il recente studio dell’Università di Bologna rintracciasse una correlazione “astrologica” con la depressione, varie personalità stagionali. Ad esempio nel New Hampshire (42 gradi Nord) un’elevata percentuale di persone sta peggio d’inverno rispetto a quelli della Florida (52 gradi nord). Più ci si avvicina all’equatore meno si sopporta l’estate: nella Florida del sud la percentuale è molto alta, verosimilmente per colpa dell’afa e dell’umidità. Le cosiddette personalità invernali, invece, durante l’inverno mangiano e dormono di più, ingrassando di conseguenza, mentre d’estate fanno il contrario e in quei mesi trovano più facile stringere amicizie e stare con gli altri, tutte cose che in inverno non riescono a fare nonostante le numerose occasioni di festa come il Natale.

LE DONNE SOFFRONO DI PIU' A LIVELLO PSICOLOGICO

Una ricerca scientifica recente, coordinata dal professor Daniel Freeman, psicologo clinico dell’Università di Oxford, mostrerebbe una maggiore propensione delle donne a sviluppare disturbi mentali a causa del loro ruolo sociale, indubbia fonte di ansie e stress.
La ricerca si è basata sull’analisi di studi epidemiologici provenienti da Europa, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda. Il team del professor Freeman ha così visto come vi fossero delle sostanziali disparità di genere fra le problematiche mentali analizzate. In particolare le donne apparivano più predisposte a lamentare disturbi di tipo depressivo, attacchi di ansia e di panico, mentre il punto debole degli uomini era più l’abuso delle sostanze stupefacenti.

Ma da dove nasce questa predisposizione femminile alla depressione? È presto detto: il ruolo sociale della donna moderna è fonte di ansie e stress che spesso sfociano in disturbi della psiche più o meno gravi. Sotto accusa ci sono le responsabilità di crescere ed educare i figli nel modo migliore, la responsabilità di curare la casa, la disparità retributiva e la difficoltà maggiore di fare carriera rispetto alle controparti maschili.

Inutile dire che tale ricerca si è tirata addosso una serie di critiche e scetticismi anche solo nel Regno Unito, da dove è partita. La professoressa Kathryn Abel, del centro per la salute mentale delle donne alla Manchester University, ha tacciato lo studio come a rischio di “cherry picking”, un termine rubato al marketing che in questo caso indica la propensione degli studiosi a prendere in considerazione solo i dati più scontati, quelli più “a buon mercato”.
La lamentela della Abel non è infatti priva di fondamento, in quanto la ricerca di Freeman non ha tenuto conto di alcuni fattori importanti, quali l’età dei pazienti e il contesto sociale. Tuttavia, lo studio non ci appare poi così inutile, in quanto mostra una questione importante da non sottovalutare. A livello sociologico e sociale è fuori di dubbio che ci sia stata un’evoluzione del ruolo della donna nella sua quotidianità. Così come sono assodate le ansie citate che appartengono soprattutto alla sfera femminile.

UNA DONNA E' FELICE SE HA UN'AMICA


E’ dunque la certezza di poter contare sull’appoggio di un’amica ciò che rende più serena una donna. Spesso, quando la vita quotidiana si fa difficile, trovare un appoggio in qualcuno di fidato è motivo di sollievo per molte delle donne intervistate a seguito di un sondaggio promosso da NewsLifeMedia, un colosso mediatico australiano.

Il sondaggio, che ha coinvolto 6.253 donne, ha rivelato che è ben l’84 per cento delle intervistate fa affidamento sulla propria rete di amicizie per ottenere un sostegno. Mentre per il 76 per cento anche il cibo è fonte di felicità, sia per quel che riguarda il gustarlo che il cucinarlo.
«La felicità delle donne nasce dall’amore, la sicurezza, il sostegno, lo stare insieme ad amici e familiari e il proprio compagno – ha commentato su News.com.au, Natalie Mactier, CEO di Kidspot (una rivista del gruppo NewsLifeMedia) – L’infelicità, invece, proviene dalle preoccupazioni economiche, la politica, la sventura personale, le relazioni inadeguate e negative».

«Tra le pressioni della quotidianità – continua Mactier – i buoni amici sono incredibilmente importanti per le donne in quanto forniscono serenità in mezzo al caos. Per la maggior parte delle donne, gli amici aiutano a destreggiarsi tra i problemi e rimangono stabili quando si passa attraverso la follia della vita quotidiana».

Un cruccio su tutti è il peso. L’inseguire e mantenere il peso ideale è fonte di stress e malumore per il 72 per cento delle donne.
Nonostante la crisi e la recessione mondiale, le donne sono tuttavia ancora ottimiste: per il 66 per cento la situazione è infatti destinata a migliorare. Nel caso non dovesse essere così, si spera di poter sempre contare su una spalla “amica” su cui piangere. Ma, a quanto pare, le amiche non mancano. 


I FALSI MITI SULLO STRESS

Per comprendere meglio il fenomeno stress, quali influenze ha sulla nostra vita e salute, e quali sono i miti associati, la professoressa di social work al Bryn Mawr College, Dana Becker, ha da poco pubblicato un libro dal titolo “One Nation Under Stress: The Trouble With Stress as an Idea”.
A seguito della pubblicazione ha pubblicato un suo intervento sul Washington Post, su cui tenta di sfatare 5 miti sullo stress.
Vediamoli insieme.

Primo mito: dormire a sufficienza, fare esercizio e una dieta corretta possono ridurre lo stress
Secondo la dottoressa Becker il fatto è che, anche se prendersi cura di noi stessi può aiutare a stare bene, tutto questo non ridurrà necessariamente lo stress se non se ne accerta la vera causa.
E’ dunque importante non trascurare la causa dello stress.

Secondo mito: lo stress rende le persone più vulnerabili alle malattie
Lo abbiamo sentito dire più volte che lo stress può aumentare il rischio di malattie, anche gravi.
Secondo gli psicologi, professori Suzanne Segerstrom e Gregorio Miller, che hanno studiato e analizzato più di 300 studi sullo stress e sul funzionamento del sistema immunitario, invece il sistema immunitario è estremamente flessibile e in grado di gestire anche quantità abbastanza grandi di stress, senza battere colpi.
I due ricercatori hanno dichiarato che lo stress può produrre cambiamenti abbastanza drammatici nel sistema immunitario senza necessariamente portare la gente ad ammalarsi.

Terzo mito: la maggior parte delle persone esposte a eventi traumatici sviluppa lo stress post-traumatico
Ma la maggior parte delle persone che hanno vissuto eventi traumatici non sviluppano un disturbo post-traumatico da stress (PTSD). Sebbene circa il 60 per cento degli adulti statunitensi dicono che hanno avuto almeno una esperienza traumatica, la prevalenza media di PTSD è compresa tra il 6,8 per cento e il 7,8 per cento.

Quarto mito: gli uomini e le donne rispondono allo stress in modo diverso a causa delle differenze genetiche e ormonali
Infatti si può dire sulle differenze di genere nella risposta allo stress, che le donne e gli uomini si comportano diversamente quando sono sotto stress.
Secondo invece l’epidemiologa Sarah Knox, della West Virginia University, questo non equivale a dire che uomini e donne hanno differenti risposte ormonali. E, secondo John Gray, l’autore di “Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere”, le ricerche condotte per lo più su modello animale, non giustificano una maggiore produzione di ormone ossitocina come antidoto allo stress: le donne che si prendono cura della casa e dei figli, non sarebbero meno stressate grazie all’ossitocina.

Quinto mito: se le donne imparano a gestire meglio lo stress, saranno in grado di risolvere i conflitti tra lavoro e famiglia
Ma il lavoro e la famiglia non sono necessariamente in conflitto, afferma Becker, semmai è il lavoro e le politiche sul lavoro, il lavoro e le limitate possibilità nella cura dei figli, che sono in contrasto.

Se smettiamo di trattare lo stress come il problema da risolvere e lavoriamo invece sui i tipi di cambiamenti sociali e politici che vanno a beneficio di donne, uomini e bambini, allora forse possiamo trovare una soluzione reale per lo stress nelle donne – e non solo, conclude Becker.

L'AMORE MATERNO RENDE PIU' INTELLIGENTI

Una ricerca della Washington University School of Medicine di St. Louis dimostra infatti che i bambini che in età prescolare godono di cure materne particolarmente amorevoli sviluppano del 10 per cento in più l'ippocampo, area del cervello fondamentale nella gestione di apprendimento, memoria e stress.

In altre parole, chi fino ai quattro-cinque anni di vita trascorre molto tempo in compagnia della madre e viene da lei coccolato e vezzeggiato, anche "più del dovuto", da quel rapporto trarrà, crescendo, un enorme vantaggio sul piano psico-fisico, ritrovandosi molto più sveglio dei coetanei.

Una teoria - detta "dell'attaccamento primario", già elaborata dallo psicanalista britannico John Bowlby - che studia le componenti etologiche del comportamento umano e aveva concluso che il neonato è un mammifero e che, come tutti i mammiferi, nel primo anno di vita deve continuare ad essere trattato come se si trovasse ancora nel grembo materno, con un continuo e forte contatto epidermico con la madre.


Quella pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences è però la prima ricerca che lega gli accudimenti materni allo sviluppo strutturale di una regione chiave del cervello, in questo caso l'ippocampo. "Il nostro lavoro - spiega il coordinatore del progetto, Joan Luby - fornisce una prova affidabile dell'importanza di coltivare in anticipo lo sviluppo cerebrale e potrebbe avere enormi implicazioni per la salute pubblica''.

Per giungere a queste conclusioni, Luby e il suo team hanno condotto un esperimento costringendo bambini dai 3 ai 6 anni ad affrontare una situazione frustrante: lasciati in una stanza con un pacchetto dai colori molto vivaci, avrebbero potuto aprire il regalo solo dopo che la mamma avesse portato a termine una serie di disegni. Osservando come madre e figlio gestivano la situazione, pensata proprio per replicare i fattori di stress tipici della quotidianità (in cui una mamma non può assecondare in ogni momento le richieste del figlio), gli studiosi hanno classificato sotto la categoria "accudimento" i casi in cui le madri offrivano rassicurazione e supporto al bambino, e diversamente quelli in cui lo ignoravano o rimproveravano.

Tempo dopo, quando i bambini avevano compiuto dai 7 ai 10 anni, i ricercatori hanno effettuato scansioni con risonanza magnetica al cervello di 92 di loro, riscontrando, in quelli con mamme più amorevoli, un ippocampo più grande del 10 per cento rispetto a quelli rientrati nell'altra categoria.


Nello studio, i ricercatori hanno escluso i bambini che soffrivano di depressione o altri disturbi psichiatrici in grado di influenzare la dimensione dell'ippocampo. "Decenni di ricerche avevano suggerito l'importanza di un caregiver particolarmente amorevole (che si tratti di mamma, papà o nonni) ai fini dello sviluppo emotivo e comportamentale del bambino - ha concluso Luby - ma questo studio fornisce prove concrete circa il fatto che una regione chiave del cervello cresca più sana e meglio sviluppata nei bambini che ricevono un accudimento più attento".

giovedì 23 maggio 2013

LA MUSICA ALLEGRA MIGLIORA L'UMORE

Ascoltare musica allegra migliora lo stato d'animo. A dare una conferma a quello che forse già in molti sapevano, sono due studi dell'Università del Missouri pubblicati sulla rivista Journal of Positive Psychology.

Durante il primo studio, un gruppo di volontari è stato invitato a cercare di migliorare il proprio stato d'animo - con istruzioni su come tentare di farlo - ma riuscivano nel loro intento solo quando ascoltavano un brano del compositore Aaron Copland, in contrapposizione al più cupo Stravinsky.

Era comunque importante fare tentativi di cambiare il proprio umore, perchè altri partecipanti, che avevano semplicemente ascoltato la musica, non riportavano nessun cambiamento. Nel secondo studio, i volontari riferivano livelli più elevati di felicità dopo due settimane di sessioni di laboratorio nelle quali ascoltavano musica positiva durante il tentativo di sentirsi più felici, rispetto al gruppo di controllo che aveva solo ascoltato la musica.

Ma come cercare di 'sentirsi' felici? Ad esempio, evitando di fare troppa introspezione e di chiedersi continuamente "Sono ancora felice?", suggeriscono i ricercatori.

Oppure, "piuttosto che concentrarsi su quanta felicità si è guadagnata finora, le persone potrebbero concentrarsi sul godimento che traggono dal cammino verso la felicità, evitando di pensare troppo alla 'destinazione' di questo percorso", ha spiegato Yuna Ferguson, fra gli autori dello studio.